“OTHER DESIGN” >> Corradino Garofalo e i suoi scatti analogici «Figli del Vesuvio»

Francesco Pace: dall’interior, all’industrial, i complementi, il laboratorio, le opere o le contaminazioni con la moda e il food world in bilico tra Napoli, Italia ed Europa.

Qui in «Other Design» oggi raccontata un altro partenopeo: Corradino Garofalo.

 

//// //// //// //// //// //// //// //// //// //// //// //// //// ////

 

Intervallo: 15 minuti per un progetto.

E’ domenica: sono tornato ad Amsterdam dopo due mesi in Libano, esperienza illuminante ma non è questo il momento di raccontarlo.

Come spesso mi accade di Domenica sono in studio: c’è calma, nessuno in giro, pochi rumori, tempo e spazio per pensare, ottimo momento per risistemare idee o progetti e ritrovarmi con me stesso.

Oggi gioca il Napoli. Cerco on line il link giusto per lo streaming e controllo formazione, statistiche, risultati precedenti, partite successive: si, anche per me il Napoli è una malattia, una religione e non esiste altra squadra.

Qua dietro un amico anche lui partenopeo (..stessa sindrome) fa studio di design e.. arriva puntualmente pochi minuti prima del fischio armato di birre & snack.

E’ Corradino!
Sampdoria – Napoli al Marassi di Genova. Palla al centro, s’inizia.
Fine primo tempo, un Napoli da sogno: guida la partita 0-2.
Ho 15 minuti di Intervallo: ho deciso di scambiare due chiacchiere con l’amico e designer Corradino Garofalo e del suo ultimo progetto «Figli del Vesuvio».

 

Ciao Corrà! Siamo qui per i nostri 90 minuti di gloria, ma vorrei concentrarmi un quarto d’ora su di te: intervallo per F&F, parlaci un pò di te..

Ciao Francesco, piacere mio per esser invitato a raccontare il mio lavoro in questo spazio.

Parto anch’io da Napoli: il mio percorso educativo mi porta in provincia di Caserta, a San Leucio ho frequentato l’Istituto Statale d’Arte, a pochi passi dalla Real Colonia della Seta fondata nel 1776. A seguire la laurea in Disegno Industriale, conseguitata negli anni di sperimentazione nell’ambito delle arti visive col collettivo Samples Lab, in particolare live vjing, video installazioni, films e fotografia, medium oggi fortemente integrati nella mia pratica progettuale. Poi il nord Europa alla ricerca di nuovi approcci al design: prima Bristol e poi Eindhoven, dove ho completato un master in Social Design alla Design Academy nel 2014, co-fondato il Fictional Collective nello stesso anno, diventato membro e poi tesoriere di Collaboration O nel 2015, anno in cui ho anche fondato lo studio dal quale attualmente porto avanti il mio lavoro come designer indipendente. Dal 2016 collaboro con Stordes.

Nella tua esperienza di designer tanti collettivi, il tuo studio è strutturato come collettivo: quale tuo ruolo e come vivi questa collaborazione?

Credo fortemente che il confronto critico alle fondamenta dei collettivi di cui faccio attualmente parte rappresenta una significativa opportunità di crescita nella mia pratica professionale.

In Fictional Collective, hai scritto un saggio dal titolo ‘’Figli del Vesuvio’’ in cui hai una visione romantica del gioco del Calcio da Strada. Ma allo stesso tempo sembra quasi ci sia una visione autobiografica, come se tu fossi uno di quei ragazzini che prendono a calci il pallone per strada. Parlaci un po di questo progetto, da dove deriva il titolo e cosa ti ha spinto a scrivere questo articolo?

«Figli del Vesuvio» è un progetto profondamente introspettivo. Il testo è stato ultimato e pubblicato per la prima volta in occasione della prima edizione del Fictional Journal (FJ), ma ha radici molto più profonde. Dal lato professionale è uno di quelli che definirei senza esitazione un progetto nel cassetto: l’ho maturato attraverso lunghe riflessioni evocate attraverso un reportage di scatti analogici che ho iniziato a collezionare durante i brevi periodi di permanenza a Napoli in questi anni da quando vivo all’estero. Dal lato personale il gioco del calcio, ma sopratutto il calcio giocato ha sempre rappresentato un aspetto importante della mia vita. E stata una passione sin da bambino quando per più di dieci anni ho frequentato la scuola calcio, partendo dalle primissime catogorie. La stessa passione che dopo molto tempo mi ha portato ad essere giocatore prima e a tifoso poi. «Figli del Vesuvio» è una sorta di tributo progettuale a un percorso che mi appartiene.

Di «Figli del Vesuvio» ora on-line vedo un saggio breve ed una serie di foto: come evolve il progetto? Ancora linguaggio fotografico?

Dopo la pubblicazione sul FJ entro nella seconda fase. La collezione fotografica continuerà con nuovi scatti. Al momento l’idea di arricchire la collezione con memorie sonore oltre che visive mi affascina molto. L’idea di produrre estratti audio ispirati ai cinque brevi capitoli che compongono il testo è alla base del lavoro: sto provando a svilupparlo con un duo napoletano, Dario e Cristian, i quali hanno lanciato nel 2013 il progetto Napolisoundscape e coi quali sono entrato in contatto dopo la pubblicazione su FJ. L’idea di “esibire” il progetto è sicuramente alla base di questa nuova e più impegnativa fase lavorativa.

Leggendo il testo mi sembra di capire che tu vedi il gioco del calcio non solo come sport ma come catalizzatore sociale, come se il pallone potesse unire un bambino di Aleppo con uno di Napoli e un altro di Buenos Aires: spiegaci questo concetto.

In realtà più che una conclusione credo di poterla definire una consapevolezza. Al di la dell’interesse professionale che nutro sul tema del rapporto tra individuo e società, il testo è sopratutto frutto di una condizione sociale che ho vissuto in prima persona. Nei ricordi d’infanzia riconosco il consolidarsi di valori di aggregazione, condivisione, passione e senso d’appartenenza. Questi valori dalla prospettiva di un bambino superavano di gran lunga l’interesse alla provenienza dell’uno o dell’altro. La meraviglia di questo sport è proprio nell’essere trasversale a contesti socio-culturali delle diverse popolazioni che abitano il globo. “Il calcio è un gioco di periferie” scriveva Erri De Luca: le periferie del mondo sono accomunate proprio dal loro essere ai margini. lì i “rettangoli” di gioco sono spesso improvvisati, ritagliati nel contesto urbano che non rappresenta affatto un limite. Questo scenario si complica in maniera drastica se si pensa al calcio professionistico. I profitti incommensurabili che quella “macchina” genera spesso gettano ombra sui valori più importanti che lo sport porta con sè. Ciò nonostante riesco ancora ad emozionarmi nel mischiarmi tra i giovani di culture disparate nei raduni estivi pomeridiani qui ad Eindhoven per celebrare quegli stessi rewind con lo stesso entusiasmo.

Ovviamente parlando di Napoli calcio non si può non citare Diego: non pensi che dovremmo abbandonare questa visione nostalgica del Napoli e cercare di guardare le cose che potrebbero/dovrebbero accadere?

Ma sai –sorride- specie negli ultimi anni questo è stato un tema battuto e discusso. Il Napoli che ha visto Diego indossare la fascia di capitano ha regalato trofei importanti alla città. Ma al di là del successo, credo che il mito di Maradona per i Napoletani echeggerà nei secoli, perché ha incarnato l’emblema del riscatto sociale per la nostra gente in anni molto particolari per la nostra città. E ci è riuscito attraverso il suo naturale talento: accarezzare il cuoio a passo di tango.. É così che è riuscito ad entrare nella memoria collettiva ed è per queste ragioni che più di nostalgia mi piace parlare della consapevolezza di un’identità forte e durevole. Detto questo è indubbio che stiamo vivendo un ciclo fantastico: la squadra esprime un calcio bellissimo che in tanti nel mondo ci riconoscono.

Ultima nota: il San Paolo.

Nel capitolo conclusivo scrivo che il San Paolo ha significato tanto per me. Uno specchio in cui soprattutto negli anni precedenti la mia partenza verso il Nord dell’Europa mi riflettevo e riconoscevo. Come se quelle migliaia di facce che con me sostenevano i colori della maglia, mi appartenessero, tutte insieme simultaneamente. Oltre l’acciaio della copertura, il cemento delle gradinate, la plastica usurata dei seggiolini, credo che il San Paolo incorpori questa magia al suo interno: è un luogo simbolo della sua gente.

Grazie Corrà!
..Inizia il secondo tempo: concentriamoci sulla partita!

🙂

di Francesco Pace

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *